Vittorio Emanuele e Cavour temono Garibaldi per tante ragioni: prima di tutto nel suo comportamento vedono troppo istinto e pochi calcoli, pensando anche a non compromettere i delicati equilibri geopolitici tra Francia e Stato Pontificio con l’eventuale presa di Roma; in secondo luogo sanno che la crescente popolarità del condottiero rischia di offuscare l’importanza del Regno di Sardegna. Lo stesso Garibaldi, a onore del vero, ricambia questa diffidenza senza alcun tentennamento: per un avventuriero abituato a combattere con coraggio secondo ideali di sinistra, quel mondo politico cinico e calcolatore appare come un ostacolo.
Per fortuna, le due parti non arrivarono mai alla rottura: a Teano, il 26 ottobre 1860, dopo aver conquistato il Sud Italia in scioltezza grazie anche al consenso di cui godeva tra la popolazione, Garibaldi cederà quei territori a Vittorio Emanuele, i quali verranno annessi al nuovo Regno d’Italia, ufficialmente proclamato il 17 marzo 1861.
Ma non è finita qui: lo Stato italiano è sì nato, ma il nazionalismo e la storia della penisola non possono accontentarsi di un territorio ancora gravemente monco, privo del Veneto, di Mantova e soprattutto di Roma.