Prima di gettare uno sguardo all’ultimo capito della storia italiana, quello del novecento, bisogna cercare di capire la portata del Risorgimento e la sua influenza sulla cultura nazionale. Al termine dell’epopea risorgimentale, infatti, l’Italia resta ancora divisa: da un lato il ceto colto, gli intellettuali e i grandi borghesi, gli attori protagonisti dell’unificazione e i grandi promotori dell’identità della nazione; dall’altro c’è il popolo, ossia la classe contadina perlopiù analfabeta, che, a parte qualche caso isolato, ha poco contatto con una realtà troppo più grande e lontana.
L’età giolittiana
Con queste premesse, l’Italia entra nel nuovo secolo un po’ zoppicante, se paragonata agli altri Stati europei: lo sviluppo sociale e industriale arrivano con lentezza ma arrivano, grazie anche all’azione politica di Giovanni Giolitti. Le idee del Presidente del Consiglio sono orientate a ridare coesione alla popolazione attraverso l’istruzione e gli aiuti verso le famiglie meno abbienti.
La prima guerra mondiale
Scoppiata nel 1914, la prima guerra mondiale devasta e decima la popolazione; l’Italia decide prima di astenersi, poi, un anno dopo, entra nel conflitto per cercare di approfittare della situazione di debolezza dell’Austria, eterna rivale con cui contende i territori di confine.
Quando la guerra terminò, l’Italia si trovò dalla parte dei vincitori, ma al tavolo della spartizione fu trattata quasi come un paese vinto. Ciò ebbe un grande impatto sull’intera nazione, che si sentì in qualche modo defraudata di quanto riteneva legittimo ottenere: è la cosiddetta “vittoria mutilata”, che pose le basi per l’ascesa del movimento fascista guidato da Benito Mussolini.